Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere.

(Ofelia nell’Amleto di William Shakespeare)



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Quando un figlio non arriva.



Le difficoltà procreative possono avere diverse cause: sterilità, infertilità o malattie genetiche ereditarie.
L’infertilità di coppia è l’impossibilità ad avere un figlio dopo almeno un anno di rapporti sessuali non protetti (OMS, 1992), mentre si parla di sterilità quando la coppia non può avere un figlio senza l’intervento medico.

Nel 80% dei casi si scopre una causa di natura organica. Nel 20% dei casi la causa resta misteriosa perché non si rilevano alterazioni fisiche che possano spiegarla. Gli accertamenti non sono in grado di evidenziare una o più cause specifiche. Tale situazione va sotto il nome d'infertilità idiopatica. In entrambi i casi il fattore psicologico ha un ruolo molto importante: se all’interno delle infertilità inspiegate la psiche può esserne una causa, nelle infertilità organiche la psiche è sicuramente una variabile di cui prendersi cura. È infatti evidente l’impatto notevole che la diagnosi di infertilità può avere sulla qualità della vita, la relazione e la sessualità della coppia.

Quando una coppia vive la difficoltà o l’impossibilità di avere un figlio si confronta con una situazione difficile che può generare forti stress, aumentando le possibilità di una crisi coniugale e personale, una condizione che necessita di aiuto psicologico. Non potere avere figli causa una sensazione di vuoto nella propria vita: l’infertilità può portare ad una grave crisi esistenziale sia nell’individuo che soprattutto nella coppi dove diventa sempre più difficile parlarne.

L’esperienza dell'infertilità può creare una condizione di forte disagio emotivo, psicosociale e sessuale che contribuisce al mantenimento dell'infertilità: il lungo e impegnativo cammino della trafila degli esami medici, le indagini diagnostiche e l'intrusività dei trattamenti causa forti disorientamenti e situazioni di ansia.

Gli aspetti psicologici più evidenti, comuni e problematici sono innanzitutto la perdita di autostima e fiducia in se stessi, soprattutto nel proprio corpo, che non risponde alle aspettative. Il senso di colpa emerge parallelamente come ricerca di una causa che diventa un’accusa verso di sé o verso l’altro. Questo “altro” che viene accusato è spesso il partner e ciò porta inevitabilmente ad una serie di problemi di coppia, di ordine relazionale, comunicativo e sessuale: l’intimità viene minata da una carenza di fiducia in se stesso e nell’altro e l’atto sessuale, troppo spesso ridotto alla sola funzione procreativa, rischia sovente di venire vissuto come atto programmato, meccanico e spogliato dal piacere.

In questi casi il lavoro con le emozioni e il vissuto corporeo è molto importante: le tecniche di rilassamento e un approccio che prenda in considerazione l’interazione tra mente e corpo possono avere successo nel facilitare la gravidanza: il risultato del trattamento è una benefica modifica dell’attitudine, nell’ottimismo e nella relazione tra vissuto corporeo, emotività ed elaborazione mentale.

L’intento di un intervento psicologico è quello di aiutare il singolo e/o la coppia a riconoscere ed accettare le componenti emotive che creano questa situazione ed affrontare insieme le eventuali conflittualità esistenti nell’ambito della coppia. Da un lato quindi imparare a comunicare all’interno della coppia, trovare il coraggio di portare nel rapporto a due le incomprensioni, le colpe, le accuse, dall’altro gestire al meglio il senso di colpa che troppo spesso finisce col logorare il singolo e la coppia. È importante saper riconoscere quando si è in crisi e saper chiedere aiuto: smettere di nascondere le emozioni, lo stress, le paure e condividere con i professionisti la propria situazione per riuscire a viverla al meglio.

Obiettivo del percorso psicologico dovrebbe essere sostenere il singolo e la coppia nella difficile elaborazione della condizione che sta vivendo e nel riconoscimento e nell’accettazione del percorso che si intraprende.

Soprattutto quando la causa non è organica, comprendere e sciogliere i blocchi emotivi nascosti che interferiscono con la possibilità concreta di avere un figlio.
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La ricerca delle origini dei figli adottati


L’istituto dell’adozione legittimante, concepita come “seconda nascita” per il minore, presupponeva nella disciplina del 1983 il segreto sulle origini dell’adottato.
La legge sulle adozioni è stata modificata nel 2001 con la L. n. 149 che ha introdotto e regolamentato il diritto dell’adottato ad accedere alle informazioni sulle proprie origini.Ciò in attuazione della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 1989 e – più in particolare - dell’art. 30 della Convenzione dell’Aja del 1993 in materia di adozione internazionale, ratificata in Italia con L. 476/1998, la quale impone alle Autorità competenti di ciascuno Stato contraente di conservare con cura le informazioni relative ai minori adottati, assicurando l’accesso a tali informazioni nella misura e con le modalità previste dalla legge interna dello Stato.
Oggi il minore ha diritto di essere sempre informato della sua condizione di figlio adottato. I genitori adottivi possono scegliere i “modi” ed i “termini” che ritengono opportuni per tale rivelazione, ma non possono sottrarsi a tale compito, che costituisce per gli stessi un vero e proprio dovere.
Il rapporto di adozione non può però in alcun modo risultare da alcun certificato né atto di alcun genere rilasciato dall’Ufficiale di Stato Civile o dell’anagrafe, mentre qualsiasi pubblico Ufficio, così come qualsiasi Ente pubblico o privato e qualsiasi Autorità devono assolutamente rifiutare di fornire qualsiasi notizia o informazione dalla quale risulti tale rapporto, salva l’autorizzazione espressa dell’Autorità Giudiziaria.
Le informazioni sulle origini della persona adottata sono le informazioni relative all’identità dei genitori biologici e quelle relative alla propria storia.
L’accesso a tali informazioni resta comunque sottoposto anotevoli limiti e condizioni.

COME SI FA
Raggiunta l’età di 25 anni, l’adottato può presentare alTribunale per i Minorenni un’istanza per essere autorizzato ad avere accesso alle informazioni sulla propria origine.
L’adottato maggiorenne ma di età inferiore ai 25 anni può presentare l’istanza solo se “sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica”.In entrambi i casi, l’accesso è autorizzato se il Tribunale valuta che esso “non comporti grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente”.Al fine di effettuare tale valutazione, il Giudice procede all’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto e può assumere tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico.
Viene pertanto ascoltato direttamente l’istante, e potrebbero eventualmente essere ascoltati i suoi genitori adottivi. Altre informazioni possono essere raccolte nei modi ritenuti opportuni.Come si è detto, la suddetta valutazione del Tribunale ha carattere discrezionale, e perciò non deriva dall’applicazione di criteri automatici.
Solo nel caso in cui i genitori adottivi siano entrambi deceduti o divenuti irreperibili, l’accesso deve essere concesso senza necessità di autorizzazione del Tribunale.
Una particolare evoluzione vi è stata per quanto concerne l’accesso alle informazioni sull’identità delle madri biologiche che al momento della nascita abbiano manifestato la volontà di non essere nominate.In questi casi, piuttosto frequenti, la legge non consente al Tribunale di autorizzare l’accesso alle informazioni da parte del figlio.
Anche il certificato di assistenza al parto e la cartella clinica sono eventualmente rilasciate con particolari cautele volte ad impedire l’identificazione della madre.
A seguito di una pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del settembre 2012 (caso Godelli c. Italia), è stata sollevata la questione di costituzionalità della normativa italiana e la Corte Costituzionale  nel novembre 2013 ha dichiarato l’illegittimità della norma in questione (art. 28 L. 184/1983) nella parte in cui non prevede che il Giudice, su richiesta del figlio, possa interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.In pratica, la Corte Suprema ha seguito il monito della Corte di Strasburgo, che aveva condannato lo Stato italiano perché la nostra normativa non era stata ritenuta idonea a “stabilire un equilibrio e una proporzionalità tra gli interessi delle parti in causa”, ovvero tra l’interesse della madre a poter scegliere di partorire nell’anonimato e quello del figlio divenuto adulto a conoscere le proprie origini biologiche.
Ora questo equilibrio potrà essere ristabilito attraverso il meccanismo indicato dalla Corte Costituzionale: i Giudici – su richiesta dei figli – dovranno interpellare le madri che avevano richiesto l’anonimato per verificare se esse vogliano mantenere la propria riservatezza, oppure se nel tempo abbiano cambiato idea e vogliano uscire dalla segretezza nella quale avevano partorito.
Spetterà ad una nuova legge definire meglio un procedimento che – nella pratica - assicuri lo svolgimento di questi contatti nella massima riservatezza.Sempre una nuova legge dovrà a questo punto probabilmente anche chiarire che cosa ne sarà di quelle domande presentate dai figli di madri che abbiano partorito nell’anonimato e siano nel frattempo decedute.
Esiste infine una possibilità di accesso, non da parte dell’adottato ma dei suoi genitori adottivi, alle informazioni concernenti la sola identità dei genitori biologici (non quindi alle maggiori informazioni sulla storia dell’adottato), quando il figlio sia ancora minorenne “solo se sussistono gravi e comprovati motivi”. Tali potrebbero essere, per esempio, motivi di salute del minore che richiedano indagini sulla salute degli ascendenti, o motivi relativi a situazioni in cui la serenità della famiglia adottiva sia minacciata dalle molestie di persone che potrebbero essere alla ricerca dell’adottato.
Le suddette informazioni possono essere rilasciate anche al responsabile di una struttura sanitaria, in caso di necessità ed urgenza, in relazione ad un grave pericolo per la salute del minore.
Accade spesso che le persone adottate abbiano il desiderio di ricercare anche (o a volte addirittura esclusivamente) deifratelli o delle sorelle,  eventualmente anch'essi adottati.E' stato statuito che l'accesso alle informazioni sui fratelli/sorelle possa essere autorizzato in presenza di tutte le altre condizioni e previa istruttoria che consenta di valutare la disponibilità dei fratelli ad un eventuale contatto, giacché il diritto dell’istante di conoscere le proprie origini deve essere bilanciato con il pari diritto dei fratelli a mantenere il segreto, se questo fosse il loro desiderio. Altri tribunalil, tuttavia, sono estremamente restrittivi su questo punto, e non sono disponibili ad alcuna possibilità di contatto con i fratelli/sorelle adottati da famiglie diverse rispetto quella del richiedente, a meno che non risulti che anch'essi abbiano precedentemente fatto richiesta.
L’accesso alle informazioni sulle origini può nella pratica avere una differente attuazione concreta nei casi di adozione nazionale o internazionale, in funzione delle legislazioni e delle prassi dei diversi Paesi di origine, dove le informazioni possono essere raccolte, trasmesse e conservate in modo più o meno completo.
Ai sensi della legge sulle adozioni, comunque, l'Ente autorizzato che ha ricevuto l'incarico di curare la procedura di adozione internazionale “raccoglie dall'Autorità straniera la proposta di incontro tra gli aspiranti all'adozione ed il minore da adottare, curando che sia accompagnata da tutte le informazioni di carattere sanitario riguardanti il minore, dalle notizie riguardanti la sua famiglia di origine e le sue esperienze di vita”.
Il Tribunale per i Minorenni e la Commissione per le adozioni internazionali devono conservare “le informazioni acquisite sull'origine del minore, sull'identità dei suoi genitori naturali e sull'anamnesi sanitaria del minore e della sua famiglia di origine”.
La domanda per ottenere l’autorizzazione deve essere presentata presso il Tribunale per i Minorenni del luogo di residenza della persona adottata (Tribunale che potrebbe perciò essere diverso da quello dove le informazioni si trovano).
Il Tribunale decide con decreto, contro il quale può essere presentato reclamo in Corte d’Appello.

CHI
L’istanza al Tribunale per i Minorenni può essere presentata anche dalla singola persona, non essendo necessaria l’assistenza dell’avvocato.

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